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Cosa si fa alla Palomar?
- 26 aprile 2016
- Scritto da: Scuola Palomar
- Category: Studenti
Le scuole di scrittura. Poiché ho deciso di frequentarne una è evidente che non sono la persona giusta a cui chiedere se siano utili o meno. C’è davvero qualcuno ancora interessato a leggere l’ennesimo confronto tra le scuole americane e quelle italiane? Ci sono articoli su articoli e libri su libri a riguardo, e io non ho né la voglia né la competenza di aggiungermi all’elenco. Però posso provare a parlare della mia esperienza con le scuole di scrittura. Prima di iscrivermi alla Palomar pensavo che i posti in cui si facesse un po’ di pratica con la scrittura fossero utili, per gli altri. Io credevo di non averne bisogno, che potevo continuare a imparare da solo. Non starò a raccontare tutta la storia, fatto sta che a un certo punto ho realizzato che mi sbagliavo (di molto) e che dopo tanti anni la mia convinzione di essere uno scrittore cominciava a traballare. Perciò dovevo scegliere.
Pur ritenendo le scuole di scrittura utili, temevo che varcata la soglia di una di esse avrei avuto a che fare con una specie di setta religiosa new age impastata con l’atmosfera di un talent show, un bicchiere di fiera dell’editoria e una spolveratina di facoltà di Lettere. Però con molte meno ragazze. Avevo davanti un’offerta ampia e immobilizzante. Potevo partire da quello che non volevo. Non volevo avere a che fare con dei guru, non volevo incontrare scrittori super famosi e sgomitare con i miei colleghi per dovermi appendere alle loro labbra, non volevo beccarmi tabelle con materie, bibliografie, crediti formativi e sistemi para-universitari. Ho trovato la Palomar.
Cosa sapevo di Mattia Signorini? Poco o niente. Lessi il suo Ora, ma lessi anche quello che diceva della sua Scuola e mi incuriosii. La Palomar era a Rovigo. Mi sincerai su Google Maps che non fosse sulle Dolomiti e che ci arrivassero i treni da Roma. Una città non troppo grande, abbastanza fuori dai radar del mondo editoriale, che qualcuno aveva persino definito la più noiosa d’Italia. Mi piaceva. E mi piaceva il fatto che qualcuno avesse aperto una scuola di scrittura in un posto del genere, senza autoproclamarsi eremita o visionario.
Dalle informazioni reperibili online appresi che c’era un metodo particolare, né una bibliografia di testi propedeutici o una tassa per sostenere esami di ammissione. Un master in Tecniche della Narrazione che dura otto mesi, cioè otto fine settimana a Rovigo, durante i quali ogni studente avrebbe lavorato a un proprio progetto di romanzo, contribuendo però alla lavorazione dei romanzi degli altri studenti (dodici in tutto). Anche stavolta evito di descrivere nel dettaglio i giorni di indecisione e i passaggi con cui ho formalizzato l’iscrizione, dopo essere stato ammesso e dopo aver parlato direttamente con Mattia Signorini. Semplicemente lui aveva convinto me e io avevo convinto lui. Potevamo iniziare.
Il resto è storia recente. Avevo delle aspettative che non sono state deluse ma è difficile far capire la sorpresa che ho provato fin dal primo settimana trascorso a Rovigo e se per miracolo fossi riuscito a evitare la retorica finora il rischio di inciamparci adesso è altissimo. Credo che il fulcro di questa esperienza sia riassumibile nel rapporto nato tra noi tutti, insegnanti (Mattia Signorini e Giulia Belloni) e studenti. Totalmente simmetrico, ma non forzato o posticcio come quello che provavi quando a scuola il professore si sedeva al banco di chi intanto era interrogato alla lavagna. Alla Palomar parliamo e discutiamo di libri, delle nostre storie e di quelle degli altri, di cosa ci aspettiamo dalla scrittura e dalla vita in generale, senza toni mistici e rarefatti da hippie o accenti illuminati ed esaltati da silicon valley. Ci confrontiamo in aula, chiacchieriamo in pizzeria e senza percepire il distacco la sera sei a bere vino in una trattoria veneta e qualche ora dopo in un pub a brindare dicendo che è l’ultimo giro, per qualche giro. Nel frattempo le nostre storie cominciano a muoversi mettendo un passo dietro l’altro, prima incerte e spaesate e man mano sempre più a proprio agio, per capire la direzione da intraprendere.
Rileggendo quello che ho scritto fin qui per capire quanto fosse grave la situazione in termini di banalità esplose, mi sono reso conto di una cosa abbastanza significativa. Per parlare della mia esperienza alla Scuola Palomar ho cominciato dicendo io e senza farci caso ho proseguito dicendo noi, tornando ora a io. Ecco, forse senza troppi giri di parole posso dire che il senso di quanto ho appreso e sto imparando da questa esperienza sia proprio nel confronto con un gruppo, attraverso cui ho smaltito i miei pregiudizi su di me e sugli altri, senza che fosse necessario annullarmi in un collettivo indistinto. Ho capito cosa significa avere dei compagni di viaggio e ho scoperto che è una cosa preziosa.
Non so se dopo la Scuola Palomar avrò la certezza di saper scrivere meglio o di aver scritto un bel romanzo. Senza dubbio già da ora ho riscoperto il piacere di provare meraviglia facendo quello che amo fare più di ogni altra cosa, cioè scrivere, quando pensavo di averne perso irrimediabilmente la capacità. E potrà suonare banale, ma spesso anche le cose banali non sono scontate.
Andrea Camillo è nato a Roma nel 1990. Laureato in Italianistica all’Università di Roma Tre, scrive sul blog letterario «Finzioni» e collabora come consulente con l’Agenzia Letteraria Herzog.