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Dalle periferie di Roma alla pubblicazione con Dea Planeta
- 17 luglio 2019
- Scritto da: Scuola Palomar
- Category: Corsisti
Valeria Gargiullo, al Master in Tecniche della Narrazione della Palomar, ha scritto una storia pazzesca: ha raccontato le periferie romane in una scioccante Suburra dei bambini, che sarà pubblicata da Dea Planeta nel 2020. E qui ci racconta la sua esperienza.
Provengo da un quartiere popolare di una cittadina in provincia di Roma. Per me la scrittura e i libri sono sempre stati una valvola di sfogo, e un mondo dove poter essere me stessa. Per molti anni questo amore è stato roba mia, circoscritta ai miei bisogni e desideri.
Ma a venticinque anni ho capito che volevo dedicare la mia vita alla scrittura. Io so fare questo, so dare forma alle parole. Scrivere mi rende felice. Che dico, scrivere mi rende completa. Si dice che a quest’età ci sia una crisi esistenziale, e io ce l’ho avuta. Altroché se ce l’ho avuta. Di fronte a me avevo il futuro, con le sue infinite possibilità, ma lo vedevo nero. Le alternative che mi offriva la mia posizione sociale a quelle che volevo intraprendere erano tutt’altro che le stesse. Le mie origini non mi avrebbero dato modo di scappare dalla povertà o perlomeno elevarmi a un gradino superiore.
Per fortuna ho saputo della scuola Palomar. Ho inviato la candidatura il cinque luglio di due anni fa. Ricordo di averci messo un pezzo di me in quella richiesta di ammissione. Ancora non me ne ero resa conto, ma c’era un atto di fede in corso.
La scuola è stata la mia salvezza. Una volta al mese tornavo a Rovigo con il cuore colmo di gioia. Quelle stradine venete mi sono entrate dentro già dal primo giorno. Per me è stata una seconda casa: alla Palomar ho avuto modo di conoscere altre persone come me, che amano la scrittura, e i libri, tutte persone meravigliose con cui ho condiviso pranzi, cene, e lunghe chiacchierate al telefono. Eravamo anime che venivano da tutta Italia: c’erano due ragazze da Pescara, un altro dalla Sardegna. Ci siamo trovati lì, sedici scrittori emergenti con lo stesso sogno, sedici persone estranee che avevano tanto da raccontarsi, e confidarsi. Ancora oggi ci sentiamo, e quando capita, organizziamo rimpatriate.
Durante le lezioni Mattia e Sara cercavano di tirare fuori il meglio di noi, ci spronavano a pensare in modo diverso, a scendere dal divano mentale che ci creiamo quando abbiamo a che fare con una storia, ci hanno insegnato a vedere le cose con più attenzione, a far caso ai dettagli. Questa è un’abitudine che mi è rimasta. Adesso guardo le cose da un’altra prospettiva, i particolari danno profondità alla vita, ed è proprio la piega su una camicia a rendere la camicia stessa bellissima.
L’anno trascorso alla Palomar è stato uno dei più belli della mia vita. Ogni volta c’era questa carica positiva che mi spronava ad andar avanti, a voler proseguire a tutti i costi. Ci sono stati giorni in cui pensavo di mollare tutto, sia chiaro. Buttare pagine intere, litigare con un personaggio che non vuole proprio prender forma, riscrivere la sinossi infinite volte erano motivi validi – in quei momenti di sconforto – per arrendersi in modo più facile e rapido. Ma quando hai dentro una storia, l’urgenza narrativa prevale su tutto.
Oggi che scrivo queste parole, il cinque luglio di due anni dopo, mi rendo conto che tante cose sono cambiate. Il mio libro sarà accessibile a tutti. Se qualcuno me lo avesse detto a quel tempo, non ci avrei mai creduto. Ma alla Palomar funziona così: arrivi con un sogno, ed esci con in mano la realtà.
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