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Lavoro ogni giorno con le parole e questo è un traguardo che ho raggiunto negli ultimi dieci anni grazie a buoni maestri, fortuna e una certa dose di applicazione: tre ingredienti che sono alla base del percorso che mi ha portato dal Servizio dattiloscritti della scuola Palomar alla firma con un’importante casa editrice. Ci sono però delle parole che, più di altre, si sono presentate spesso lungo il mio percorso; le userò per riassumere questo viaggio.
“Il 70% degli autori non va oltre il romanzo d’esordio”
Avevo letto questa frase in numerosi forum e discussioni, senza tuttavia trovare mai fondamento certo. Eppure, pare spesso essere così. Quando nel 2012 è uscito il mio primo romanzo (Ti sogno, California, edito da Booksalad) ho deciso che io volevo esser parte dell’altro gruppo, di quel 30% che prosegue a scrivere. Nel 2013 ho così scritto un secondo romanzo che all’inizio del 2014 ho inviato a due altri Mattia: un editor professionista (di cognome fa Nicchio) e quel Signorini che aveva aperto da poco la scuola Palomar, persuaso dalla sua gentilezza nel rispondere ad altri autori esordienti in un forum molto conosciuto. L’obiettivo non era arrivare alla pubblicazione, ma reinvestire i proventi di quanto guadagnato con il libro d’esordio per avere giudizi critici e oggettivi sulla mia scrittura, così da migliorare.
Le valutazioni sono arrivate dopo poche settimane. Dalla scuola Palomar mi si chiedeva di portare pazienza perché il romanzo richiedeva letture supplementari. La cosa si faceva interessante, si prospettava una svolta inedita. Ed ero consapevole che la cosa avrebbe preso tempo anche se, forse, non mi era ben chiaro quanto tempo ci sarebbe voluto.
“Dobbiamo lavorarci ancora un po'”
Ho parlato per la prima volta con Mattia Signorini nella primavera 2014. Il romanzo gli era piaciuto, e molto, ma mi ha comunque invitato a lavorarci. E a migliorarlo. Se c’è una verità che fa da fil rouge nelle mie molteplici attività di scrivano (narrativa, giornalismo, comunicazione istituzionale…) è che la riscrittura dà sempre migliori risultati della scrittura. Ricevere i consigli appassionati ma onesti di qualcuno che, come me, ama tanto le parole è sempre stato un piacere che prevale sull’onere di chinarsi di nuovo sul manoscritto, di tagliare parti apprezzate ma inutili (“Kill your darlings”, diceva il Re), di creare nuovi passaggi e nuovi personaggi. Mi sentivo all’interno del meccanismo, vedevo all’orizzonte quale macchina si sarebbe avviata se solo avessi oliato meglio un ingranaggio o inserito una ruota dentata non prevista nel progetto iniziale.
La cosa mi galvanizzava, mi ha galvanizzato per tutta l’estate di quell’anno mentre lavoravo di nuovo al romanzo.
In autunno mi sono rimesso in contatto con Mattia, le parti inedite le avevo evidenziate in rosso. Le ha lette, le ha apprezzate. “Ora lo spedisco a Vicki Satlow”, mi ha detto. Un’agente letteraria. Bisognava solo aspettare, tenere le dita incrociate. Ma non potevo farlo. Avete già provato a battere sulla tastiera con le dita incrociate?
“Invia l’opera e inizia a lavorare su qualcosa di nuovo”
Nell’autunno 2014 ho iniziato a delineare un terzo romanzo, e in una giornata di pioggia ho incontrato per la prima volta Vicki Satlow. Considero il canton Ticino (dove sono nato e cresciuto) come la provincia della provincia, perché nonostante siamo lontani pochi chilometri da un grosso centro come Milano, dobbiamo superare non solo la sua periferia ma anche un confine nazionale e il valico tra due mentalità e identità del tutto diverse. Per me, quindi, arrivare a quell’incontro è stato qualcosa di decisivo. Vicki Satlow è stata molto onesta con me, e subito ho capito come mai lei e Mattia hanno stretto un sodalizio così stretto nel corso degli ultimi anni. Vanno oltre la facciata fatta dalle parole costruita dall’autore, puntano alle emozioni e al coinvolgimento del lettore. Anche qui: complimenti e inviti a modificare il romanzo.
Mi ci sono ributtato sopra, mentre lavoravo alla nuova opera. Risultato: entro la fine dell’anno il secondo romanzo è stato riscritto da zero per il 25% (circa 125 mila battute) e lo scheletro del terzo è stato definito del tutto. Ho spedito a Vicki il manoscritto un paio di giorni prima di Capodanno e poi mi sono forzato a dimenticarmene, lavorando al nuovo manoscritto come se nulla di tutto quello fosse successo. Anche questo è uno dei consigli più diffusi: invia l’opera e inizia a lavorare su qualcosa di nuovo. Un passaggio che all’inizio sembra quasi una tortura, ma col tempo le cose migliorano. E si fanno più facili. D’altra parte non è questo il lavoro di chi ha deciso di far parte del 30%, ovvero quello di scrivere e scrivere di nuovo?
Così, ho aperto un nuovo file. Sapevo che nel 2015 non avrei di sicuro visto il romanzo pubblicato, ma ero certo che entro la fine dell’anno sarei arrivato a firmare. Non è andata così.
“Stai lavorando a qualcos’altro?”
Nel maggio 2015 mi ha scritto Vicki Satlow, voleva parlare con me. Sono passati oltre cinque mesi dall’invio, un periodo in cui mi ero chiesto spesso se ero finito nel dimenticatoio o nel cestino. Altri autori mi avevano consigliato di prendere altre strade, di inviare il romanzo ad altre persone. Io avevo sempre risposto: “Questo è il miglior cavallo a mia disposizione, non mollo le redini finché non so dove mi porta”. Al massimo, le avrei strette più forte.
Ho quindi telefonato a Vicki, mi ha elogiato per il lavoro svolto ma c’era qualcosa che non andava, qualcosa che nonostante i mesi trascorsi a lavorarci sopra non la convinceva pienamente. Mancava qualcosa, un elemento X. “Mi dispiace”, mi ha detto. Silenzio. “Stai lavorando a qualcos’altro?” Non so perché, ma non mi sentivo triste o amareggiato. Io qualcos’altro ce l’avevo, mi ero creato una seconda opportunità e non dovevo ripartire da zero. Senza saperlo, mi ero preparato a quell’evenienza.
Le ho parlato del terzo romanzo, le ho inviato la sinossi e si è detta entusiasta. Ci ho lavorato per tutta l’estate – 33 minuti la mattina in treno, 33 minuti il pomeriggio (sempre in treno, di ritorno dal lavoro), 33 minuti prima di andare a dormire. Ho sfiorato quotidianamente le 2000 parole giornaliere ventilate dal solito Re e alla terza settimana di settembre ho inviato a Vicki Satlow il nuovo manoscritto. Sono passati altri mesi di attesa in cui mi sono dedicato ad altri progetti narrativi, mi sono rimesso sul secondo romanzo a caccia dell’elemento X e al contempo ho raccolto il materiale per una nuova storia. I dubbi si accavallano, ma preferivo investire le energie nella scrittura piuttosto che macerarmi. La risposta è arrivata, anche qui a sei mesi dall’invio. “Ci siamo” mi ha detto Vicki. “Lo portiamo avanti”.
“La verità sul caso Harry Quebert è stato scritto dopo cinque romanzi rifiutati”
Questo è un aneddoto che racconto spesso, vuoi perché il romanzo La verità sul caso Harry Quebert è stato un bestseller planetario, vuoi perché l’autore (Joël Dicker) ha solo un anno più di me ed è svizzero, proprio come me. Ho pensato anche a lui quando, con Vicki Satlow, ho incontrato l’editor e il direttore editoriale della casa editrice che pubblicherà il mio prossimo romanzo. Lì ho anche capito quanto sia importante per gli editori avere a che fare con autori che hanno già del lavoro alle spalle, e progetti davanti a loro. Autori che fanno parte di quel famoso 30%.
Gennaio 2014-maggio 2016: sono passati più di due anni dall’invio del manoscritto alla Scuola Palomar alla firma del contratto, e ne passeranno oltre tre prima della pubblicazione vera e propria. Non sono stati sempre mesi facili, ma la scrittura è stata di grande compagnia. Non ho mollato, ho tenuto duro e mi sono rimesso a scrivere ogni qualvolta fosse necessario – cioè, sempre. Ogni giorno. “Nulla dies sine linea”, per dirla in latino. E non è finita qui. Perché se lavorare ogni giorno con le parole è un privilegio, farlo bene richiede costanza, determinazione e applicazione. Alle quali bisogna aggiungere buoni maestri e fortuna, come dicevo all’inizio. Ma questi, se uno si impegna, prima o poi arrivano. E non bisogna preoccuparsi troppo se ci sarà da attendere o da riscrivere, o da scrivere di nuovo. Alla fine il tempo sarà dalla nostra.
Mattia Bertoldi scrive romanzi, articoli di giornale, racconti. Nato nel 1986 a Lugano, si è laureato in letteratura e linguistica italiana a Zurigo. È svizzero e non ha mai assaggiato il cioccolato Novi. Ha una scoppiettante Harley-Davidson. Nella primavera del 2017 uscirà in tutte le librerie per Tre60 il suo nuovo romanzo, il primo con un grande editore.